Publius Ovidius Naso, Metamorphoses

Data:
sec. XI ex (dopo il 1071)
Fondo / Raccolta:
Sezione Manoscritti e Rari
Tipologia documento:
Manoscritto
Formato documento:
JPEG, PDF
Contenitore oggetto digitale:
World Digital Library
Collocazione:
BNN ms. IV.F.3

Publius Ovidius Naso
Metamorphoses
Ms. membr., sec. XI ex (dopo il 1071), mm 295x166, cc. I, 201, I
Scrittura beneventana. Ill. 

Pagina dall'

La tradizione codicologica più antica delle Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone si attesta su pochissimi codici databili tra il XII e il XIII secolo.  Il ms. IV. F. 3 della Biblioteca Nazionale di Napoli riveste un ruolo particolarmente significativo in questa traditio, essendo, inoltre, decorato con una ricchissima serie di immagini, che ci trasmettono  la verve culturale degli ultimi decenni del secolo XI nell'Italia meridionale, dove il codice fu esemplato.
Prodotto a Bari dopo il 1071, anno della conquista della città da parte dei Normanni di Roberto il Guiscardo, il codice simbolicamente sintetizza la situazione culturale e politica non solo della Puglia, ma dell'intero Mezzogiorno d'Italia nell'Alto Medioevo. Numerose etnie si fondevano in un crogiuolo culturale davvero singolare: longobardi, normanni, bizantini, saraceni dominavano, a macchie di leopardo, il territorio; le città marinare di Napoli, Gaeta, Sorrento, Amalfi, Salerno, Bari erano ponti di scambi commerciali con l'Oriente greco ed arabo; le fedi religiose dell'occidente e dell'oriente - cristiane latine, greche, ebraiche e musulmane - si confrontavano  sotto la costante presenza spirituale e culturale di poli abbaziali quali Montecassino e San Vincenzo al Volturno e più tardi Montevergine e Cava de' Tirreni, di  venerandi santuari, primo fra tutti San Michele Arcangelo sul Gargano, nonché di  numerose laure basiliani del Salento, della Calabria e della Campania.
La cultura dominante normanna, portatrice nel Sud Italia dei testi carolingi, si consolidò e si sposò felicemente, in questo scorcio di secolo,   con il substrato locale romanico-bizantino e longobardo, accogliendo inoltre influssi dagli schemi islamici, ancora pieni di echi del vicino e del medioriente.
In un clima così composito e vivo di culture  diverse nacque, in uno scriptorium di Bari, probabilmente il monastero di San Benedetto, il nostro codice, vergato, in latino, in un'ariosa scrittura beneventana, elegantissimo esempio conosciuta dagli studiosi  come "type Bari", perché caratteristica di questa specifica area territoriale. 
L'"Ovidio Napoletano" riveste un'importanza particolare anche perché quattordici dei quindici libri delle Metamorfosi sono corredati dalle narrationes dello pseudo Lattanzio, che ne accrescono il valore filologico.
Se la scrittura è di sicuro uno specimen della beneventana barese, ampiamente lodata negli studi di Elias Avery Lowe e Virginia Brown e messa in risalto da Guglielmo Cavallo e Francesco Magistrale, è soprattutto nella vivacità delle immagini, superbo apparato decorativo, che il codice si caratterizza quale unicum, come già ampiamente notato da Carlo Bertelli e Giulia Orofino.
Nelle oltre duecento carte, di cui il codice è composto, l'apparato decorativo comprende sessantacinque pagine illustrate da miniature marginali tra il fantastico e l'onirico, ove si susseguono veltri, serpenti, draghi, arpie e centauri, sfingi, mostri ibridati o addirittura zoomati nel meraviglioso momento della trasmutazione,  figure antropomorfe e fitomorfe, che ci proiettano nel più affascinante e suggestivo poema dell'intero mondo classico. Inoltre tredici iniziali  decorate e le cornici che racchiudono gli argumenta dello pseudo Lattanzio completano il quadro illustrativo.
Se è giusto parlare del Mezzogiorno d'Italia, nel Medioevo,  quale ponte socio-culturale tra oriente e occidente, tra nord e sud del mondo allora conosciuto, è nel ms.IV.F.3, della Nazionale di Napoli, che possiamo  visualizzare questo  fondamentale assioma della nostra storia.
Il codice è attestabile nel monastero di Montecassino già nel XII secolo e  almeno fino al 1294, come si evince da alcune sottoscrizioni. Alla carta 201r si ha la testimonianza  che lo riconduce  a Napoli "Antonii Seripandi ex Anysii amici opt(imo) munere", ci informa una nota di possesso. Il codice nei primi decenni del Cinquecento quindi era  a Napoli, di proprietà di Antonio Seripando, a cui era stato donato dall'amico Giano Anisio.
Siamo nella sfera culturale dell'Accademia Pontaniana, retaggio aragonese, ove primeggia il sarnese Giano Anisio, colto appassionato di lettere classiche ed amico di letterati  quali Pietro Bembo, Lorenzo Valla, Jacopo Sannazaro e  dei fratelli Antonio e Girolamo Seripando. Fu proprio Girolamo a  ricevere dal fratello Antonio con la  sua ricchissima Biblioteca, eredità dell'umanista Aulo Giano Parrasio, il codice.
Girolamo Seripando, prima vescovo di Salerno, poi cardinale e Priore  Generale dell'ordine degli Agostiniani,  uno dei maggiori promotori del Concilio di Trento, città in cui morì, lasciò per testamento la propria amatissima biblioteca al suo convento napoletano di San Giovanni a Carbonara.
La preziosissima raccolta, e quindi anche il nostro codice, nell'anno 1800 confluì nella nascente Reale Biblioteca, poi Borbonica, e con, l'Unità d'Italia, Nazionale di Napoli.

(Vincenzo Boni, Sezione Manoscritti e Rari della BNN)

Note

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