Introduzione di Gugliemo Cavallo all'edizione in fac-simile del codice

Guglielmo Cavallo

Introduzione al volume
Dioscurides Neapolitanus
Biblioteca Nazionale di Napoli
Codex ex Vindobonensis Graecus 1
Commentarium a cura di Carlo Bertelli, Salvatore Lilla, Guglielmo Cavallo
Roma, Salerno Editrice - Graz-Austria, Akademische Druck-u. Verlagsanstalt, 1992

Si ringrazia il prof. Enrico Malato e la Salerno editrice (www.salernoeditrice.it ) per aver gentilmente acconsentito alla riproduzione del testo
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In quella enciclopedia affollata che è la Naturalis Historia di Plinio, si parla anche degli erbari illustrati, fatti in aemulationem naturae da Graeci auctores, i quali dipinsero le figure delle piante medicinali e ne descrissero quindi gli effetti terapeutici (1). Gli auctores ricordati da Plinio sono Crateua, medico di Mitridate VI Eupatore re del Ponto (121-63 a.C.), e, dopo di lui, Dionisio e Metrodoro. Plinio non ricorda Pedanio Dioscoride, nato ad Anazarbos in Cilicia, suo contemporaneo (siamo nel cuore del secolo I d.C.), anch'egli Graecus auctor di un erbario, o meglio di una farmacopea, il Perì üles iatrichès, l'opera attestata, sia pur con deviazioni dall'originale, nel codice Neapol. gr. I*, il cosiddetto «Dioscoride di Napoli».
Desumere dal silenzio di Plinio - il quale dedica la sua Naturalis Historia a Tito nel 77 d.C. - ch'egli non conosca l'opera di Dioscoride non è fondato su alcuna prova certa. Di sicuro Plinio non utilizza contenuti del Perì üles iatrichès, ed è quindi possibile che il trattato sia stato pubblicato dopo la morte dello stesso Plinio avvenuta nel 79 d.C.; ma il silenzio di quest'ultimo può dipendere anche dal fatto che il trattato dioscorideo non fosse illustrato. Pedanio Dioscoride stesso nella prefazione - stesa in forma di lettera ad Ario di Tarso, suo amico e maestro, cui egli dedica l'opera non fa alcun cenno ad un repertorio figurativo che accompagni il testo (2). L'autore mette in discussione gli errori metodologici dei suoi predecessori, ed afferma di voler descrivere quanto egli stesso ha osservato con precisione direttamente, sottoponendo a verifica, inoltre, quel che nelle fonti scritte si trova universalmente accettato. Egli non dispone la materia in ordine alfabetico, alla maniera dei prontuario, ma secondo le proprietà terapeutiche delle piante prese in esame, come è compito di un'autentica farmacopea, che deve avere legami stretti con la medicina ed indicare perciò i vari rimedi atti a ciascuna malattia. Egli quindi, pianta dopo pianta, ne dà il nome (talora pure qualche sinonimo), l'ambiente vegetale, la descrizione, le proprietà che contiene e l'azione che esercita, gli usi medicinali e gli effetti benefici, il dosaggio, i metodi di preparazione e di conservazione, gli usi d'altro genere, veterinari o magici. Questo - a parte alcune eccezioni - lo schema seguito. Ma oltre alle piante, l'opera di Dioscoride dedica anche capitoli agli animali e ai minerali, sempre in funzione terapeutica, sicché il trattato si presenta piú ampio e piú articolato di un semplice erbario. Dioscoride stesso appare dal suo scritto non un rizotómos o farmacopòles; - termini indicanti il nostro erborista o il nostro farmacista vecchia maniera, che preparava da sé e vendeva i medicinali - ma un medico, anzi un medico assai dotto. Non è lecito, insomma, mettere il Perì üles iatrichès, sullo stesso piano degli erbari illustrati di Crateua e degli altri autori ricordati da Plinio. Le ragioni addotte in favore di un trattato dioscorideo originariamente illustrato non sono cogenti (3); ed anzi la mancanza di qualsiasi accenno ad un corredo figurativo nella prefazione, e, al contrario, l'insistenza in questa sul carattere scientifico dell'opera, l'utilizzazione di fonti per la piú parte non illustrate, la mancanza nel medioevo di un filone iconografico unitario che configuri quello originale, sono tutte ragioni che inducono a credere ad un testo privo in origine di illustrazioni. Quello di Pedanio Dioscoride si propone, dunque, come vero e proprio trattato che nulla concede al prontuario di carattere puramente pratico. Nella tradizione medievale questo trattato privo di illustrazioni, quale doveva presentarsi nella sua stesura (e poi edizione) originaria, si è conservato forse nel frammento palinsesto Neapol. lat. 2 (ff. 62 e 65) del V-VI secolo (4), certo nel codice R III 3 della Biblioteca di San Lorenzo de El Escorial del tardo secolo X, l'uno e l'altro prodotti in Italia.

Ma il Dioscoride di Napoli è tutt'altra cosa. Esso, sotto il profilo sia strutturale sia storico-culturale, costituisce l'approdo di una serie di trasformazioni radicali subite dal testo e dalla sua funzione. Iniziano dalla prima riconversione, quella strutturale, che conduce da un Dioscoride non illustrato ad un Dioscuride illustrato, e che consiste perciò nella vistosa introduzione di un corredo figurativo nel testo. Questo corredo è di sicuro derivato da una letteratura di carattere spiccatamente pratico e manualistico, quali gli erbari ricordati da Plinio: tra questi un ruolo primario sembra sia stato giocato dall'opera di Crateua. Ma gli apporti dovettero essere molteplici, giacché prontuari illustrati del genere erano probabilmente molto diffusi. Al di là di processi di deformazione e degradazione che l'iconografia delle piante ha subito nel corso del medioevo, si può ritenere, sul fondamento della fisionomia figurativa diversa in cui certe piante si presentano nella tradizione medievale dell'opera, che all'origine vi sia stato non un solo Dioscoride illustrato, un esemplare-capostipite, ma piú edizioni illustrate, ciascuna con proprie caratteristiche, pur se le fonti figurative non potevano essere che le medesime, gli erbani illustrati, dai quali il corredo iconografico di ciascuna edizione veniva selezionato in relazione a fattori vari: disponibilità di modelli, scelte dell'artigianato, esigenze della committenza (5). Né si può escludere che vi fossero talora introdotte varianti e aggiunte nuove, magari derivate da fonti diverse rispetto ai modelli, a seconda delle edizioni. In un'opera di cosí larga tradizione, infatti, non potevano mancare commistioni e contaminazioni tra le varie edizioni. Il medioevo rispecchia questa molteplicità di tipologie e di soluzioni editoriali dell'opera di Dioscoride. Una di queste edizioni antiche illustrate è costituita dal codice di Napoli e dal suo stretto affine, il Dioscoride di Vienna, Vindob. Med. gr. I, in pratica dalla loro fonte comune.
La caratteristica piú specifica di questa fonte all'origine dei codici napoletano e viennese è l'ordinamento alfabetico della materia, che è estraneo all'opera dioscoridea genuina. L'epoca dell'edizione alfabetica è stata fissata al III-IV secolo, comunque essa è certamente anteriore alla seconda metà del IV, quando risulta utilizzata da Oribasio, il medico di Giuliano imperatore, per le sue Sünagogài iatricài. Si tratta di epoca significativa. A partire dall'età dei Severi si assiste alla perdita di tutta una serie di testi scientifici e letterari, ed alla riduzione in summae di altri. Dall'opera farmacologica di Dioscoride, che pure continua a vivere nella sua redazione originale, si ricava un'edizione meramente strumentale, manualistica, didascalica, operando tagli, variazioni, aggiunte più o meno vistose. Il risultato è, in sostanza una compilazione atta, piú del testo genuino di Dioscoride, agli interessi di un'epoca, la tarda antichità che privilegia la letteratura di compendio e di riferimento (si pensi alle summae giuridiche, alle epitomi, alle raccolte lessicografiche). L'ordinamento alfabetico delle piante, il relativo nome figura per figura, la disposizione della materia nella specie di commento o di didascalia sono tutti dispositivi che indicano un testo/libro destinato ormai all'uso pratico, alla consultazione manualistica. Il testo di Pedanio Dioscoride, concepito e scritto nella sua redazione originaria come trattato scientifico, è trasformato, insomma, in un erbario dei piú semplici.

Questa, dunque, l'origine del Dioscoride illustrato e alfabetico. Ma il codice napoletano, pur mostrando una strutturazione fortemente didascalica nel rapporto testo/figure, non può essere agganciato in maniera cogente a puri interessi pratici, professionali, giacché la sua manifattura di livello alto, sebbene provinciale, può sottendere altra e diversa funzione del manoscritto; e quanto al Dioscoride di Vienna, questo si dimostra libro contempo d'apparato e di lettura colta, indicando che il Perì üles iatrichès di Pedanio Dioscoride è stato coinvolto in nuovi interessi che hanno agito non - come tra III e IV secolo - sulla struttura dell'opera, ma sulla sua collocazione socioculturale. Ed invero l'ultima antichità segna anche il momento in cui la letteratura di carattere strumentale ed applicato - una volta disdegnata dalle classi aristocratiche e praticata solo a livelli tecnico-professionali da categorie sociali di rango medio o medio-basso - viene assunta nella cultura superiore come parte di piú larghi interessi scientifico-filosofici (si pensi già solo ad un Boezio). Almeno il codice del Dioscoride di Vienna - prodotto a Costantinopoli nel 512 o poco oltre per Giuliana Anicia, della stessa stirpe di Boezio e figlia di Flavio Anicio Olibrio, imperatore d'Occidente nel 472 - è riverbero di questa committenza di libri di letteratura strumentale da parte delle classi aristocratiche (6).
Il nostro Dioscoride, quello di Napoli, richiede un discorso piú articolato e sfumato, anche perché non se ne conosce - su fondamenti oggettivi - né l'origine né la data, elementi necessari per poter delineare il quadro, sia pur ipotetico, entro il quale il manoscritto sembra doversi collocare. Iniziamo dall'origine. Caduta ormai, in quanto infondata, l'ipotesi che fosse da attribuirne a Demetrio Calcondila l'introduzione dall'Oriente in Italia (7 ) il codice napoletano può ritenersi un prodotto greco-occidentale, a quanto mostrano caratteristiche grafiche, codicologiche, artistiche (8). La scrittura in cui il manufatto è vergato è una maiuscola biblica. Questa scrittura, attestata a partire dal II-III secolo d.C. e caratterizzata da lettere inscrivibili in un modulo quadrato, da linee sobrie e da chiaroscuro verticale, si dimostra largamente diffusa nella produzione libraria, mostrando in esemplari greco-orientali posteriori al secolo IV un contrasto sempre piú marcato fra tratti ingrossati / tratti sottili, e orpelli decorativi (bottoni o piccoli denti) sempre piú pesanti alle estremità di questi ultimi, fino a sfociare, intorno al secolo VII, in forme grafiche fortemente artificiose e decorate (9). Ma il Dioscoride di Napoli mostra una maiuscola biblica di tipo assai diverso da quella greco-orientale testé descritta; essa presenta, infatti, un disegno molto semplice, privo di studiati artifici stilistici, mostrando cosí altra origine, con ogni verisimiglianza occidentale. Ed ancora, la mano - diversa dalla prima - che ha vergato con inchiostro rosso i nomi delle piante sotto le corrispondenti figure, adopera una scrittura distintiva che ripete nel disegno le forme della maiuscola biblica, ma che mostra chiaroscuro obliquo, caratteristica di antica tradizione nella scrittura latina, ma eccezionale e quasi sempre dovuta ad influenza latina nella scrittura greca. L'origine occidentale è confortata, altresí, dalla tipologia delle grandi lettere distintive poste prima di ciascuna serie alfabetica per indicare l'inizio: a queste lettere risultano applicati trattini ricurvi di complemento alle estremità delle linee costitutive, i quali nei tratti orizzontali, obliqui e curvilinei divergono formando vere e proprie forcellature terminali. Si tratta di caratteristiche tipiche della «Initialornamentik» occidentale (10). Scritture seriori testimoniate nel manoscritto - rilevate con cura da Salvatore Lilla - puntano nello stesso senso. Le annotazioni greche in maiuscola ogivale inclinata, dovute a due mani, rivelano caratteri che trovano conforto nelle scritture italogreche analoghe del secolo IX; gli indici alfabetici delle piante riferibili ad una mano greca del secolo XI sono scritti sul verso di alcuni fogli in forme grafiche corsiveggianti che mostrano affinità con scritture coeve dell'Italia meridionale; infine, note latine del secolo XIV dimostrano che a quell'epoca il codice si trovava in Occidente: si tratta di circostanze accessorie, che convergono nel confortare una origine e una permanenza del codice in area occidentale.

Ugualmente all'Occidente riconducono le tecniche del manoscritto. La foratura che guida la rigatura è eseguita al centro dei foglio, secondo una maniera ben attestata in Occidente, specificamente in Italia, ma quasi sconosciuta in Oriente; e le segnature antiche dei fascicoli - dovute forse alla stessa mano che ha scritto il testo - risultano apposte nell'angolo inferiore interno dell'ultimo foglio di ciascun fascicolo, caratteristica, anch'essa, occidentale, propria dei coevi manoscritti latini (11).
Sotto l'aspetto storico-artistico, il codice esibisce un corredo iconografico che - dopo un infelice tentativo di attribuzione a Costantinopoli (12) - viene ormai concordemente rivendicato all'Italia. Ed invero tal corredo, pur appartenendo alla stessa recensione figurativa del Dioscoride di Vienna, rivela un linguaggio stilistico diverso ed incontestabilmente provinciale.
Stabilita, dunque, l'origine occidentale del manoscritto, ne resta da proporre una data, la quale viene a fondarsi sostanzialmente sulle caratteristiche grafiche, ancora una volta sulla maiuscola biblica del testo, nella quale il codice è vergato. Nello svolgimento di questa scrittura, le forme offerte dal Dioscoride di Napoli si collocano nella fase tarda, ma non in quella estrema. Tenendo conto di tutta una serie di confronti e del momento grafico che quelle forme rappresentano all'interno dell'evoluzione dei canone della maiuscola biblica, una datazione allo scorcio del secolo VI o all'inizio del VII sembra la piú probabile. Conforto in questo senso viene anche dalla tipologia delle grandi lettere distintive indicanti l'inizio di ciascuna serie alfabetica; esse, infatti, trovano confronto nell'«Initialornamentik» di manoscritti occidentali proprio dei secoli VI-VII (13). Con la stessa datazione si accordano i caratteri storico-artistici del codice.

A questo punto, si può conoscere meglio l'ambito di produzione del Dioscoride napoletano? Carlo Bertelli propone Ravenna e le cerchie esarcali: proposta accattivante, ove si pensi alla produzione culturale ed artistica ravennate nell'età, non lontana da quella del nostro manoscritto, tra Teoderico e Giustiniano. Nella città poteva essere ancora attivo un artigianato di tipo imprenditoriale; ed invero il codice di Napoli non si dimostra uscito da un àmbito ecclesiastico o monastico). Piú sfumata e duttile la posizione di Giulia Orofino, che tende a ricollegare la lettura dell'opera di Dioscoride piuttosto ad interessi pratici o a quelli dell'aristocrazia in liquidazione, alle ultime rappresentanze delle élites della cultura, a Cassiodoro che consiglia ai suoi monaci non sempre istruiiti la farmacopea di Dioscoride illustrata con figure (14). In mancanza di dati oggettivi nessuna posizione può essere netta. Ma è lecito dire che la corte degli esarchi può essere stato lo specchio distorto delle ultime esperienze di cultura ellenistica di Costantinopoli proponendo, in forme provinciali, modelli metropolitani; che Ravenna aveva una lunga tradizione di conoscenze mediche e di didattica della medicina; che le mura della città avevano racchiuso le alterne vicende di Cassiodoro, di Boezio e dell'ultima aristocrazia colta (15).
Le vie, i veicoli, gli individui, gli interessi, attraverso cui un esemplare del Dioscoride alfabetico illustrato può essere giunto dall'Oriente in Occidente, meglio in Italia, e qui riprodotto restano indeterminati, ma in ultima analisi, tutti convergono, piuttosto che altrove, a Ravenna.


Note

1. PLIN., Hist., XXV 4.

2. Su questa prefazione cfr. J. SCARBOROUGH-V. NUTTON, The Preface of Dioscorides' 'De Materia Medica'in «Transactions and Studies of the College of Physicians of Philadelphia», IV 1982, pp. 187-227, e SCARBOROUGH, Pharmacy's Ancient Heritage: Theophrastus, Nicander, and Dioscorides, The Distinguished Lectures 1984 Presented at the College Pharmacy, Lexington 1985, pp. 63-79.

3. A favore di un Dioscoride illustrato già al momento della composizione si è pronunciato ultimamente J.M. RIDDLE, Dioscorides on Pharmacy and Medicine, Austin 1985, pp. 176-80.

4. Il frammento palinsesto Napoletano è troppo esiguo - si tratta solo di un bifolio - perché si possa essere dei tutto sicuri che l'intero esemplare non fosse illustrato.

5. Il lavoro piú organico sulla tradizione degli erbari illustrati - nonostante vari e a volte validi contributi - resta ancora quello di CH. SINGER, The Herbal in Antiquíty and its Transmission to Later Ages, in «Journal of Hellenic Studies», XLVII 1927, pp. 1-52; ma si impone ormai una ridefinizione, impostata su nuove basi, di tutta la problematica.

6. Sul Dioscoride di Vienna mi limito a rimandare a H. GERSTINGER, Dioscurides. Codex Vindobonensis Med. Gr. 1 der Oesterreichischen Nationalbibliothek. Kommentarband zu der Faksimileausgabe, Graz 1970.

7. A. PETRUCCI, Calcondila Demetrio, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, 1973, vol. 16 p. 547.

8. Rimando ai miei lavori La cultura italo-greca nella produzione libraria, in I Bizantíni in Italia, a cura di G. PUGLIESE CARLI, Milano 1982, pp. 502 sg. e Le tipologie della cultura nel riflesso delle testimonianze scritte, in Bisanzio, Roma e l'Italia nell'alto medioevo («Settimanale di Studio del Centro taliano di Studi sull'Alto Medioevo», XXXIV), Spoleto 1988, pp. 509 sg.

9. Si vedano le mie Ricerche sulla maiuscola biblica, Firenze 1967, pp. 69-107

10. C. NORDENFALK, Die Spätantiken Zierbuchstaben, II, Tafelband, Stockholm 1970, tavv. 43-44 e 47‑51; si veda anche A. PETRUCCI, Per la datazíone del Virgilio Augusteo: osservazioni e proposte, in Miscellanea in memoria di C. Cencetti, Torino 1973, pp. 38-43.

11. J. VEZIN, La réalisation matérielle des manuscrits latins pendant le Haut Moyen Age, in Codicologica, II, Leiden 1978, pp. 30 e 35. Secondo Vezin, la foratura al centro del foglio «semble avoir une origine orientale», ma manca qualsiasi sostegno a questa ipotesi.

12. M. ANICHINI, Il Dioscoride di Napoli, in «Atti dell'Accademia Nazionale dei Lincei». Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, S. VIII, XI 1956, pp. 77-104.

13. Si veda, oltre ai materiali offerti da Nordenfalk citato sopra, anche La Régle du Ma tre. Edition diplomatique des manuscrits latins 12205 et 12634 de Paris, par H. VANDERHOVEN et F. MASAI, Bruxelles-Paris-Anvers-Amsterdam 1953, pp. 52 sg.

14. CASS.,Inst., I 31 2.

15. Rimando al mio lavoro La cultura scritta a Ravenna tra antichità tarda e alto medioevo, in Storia di Ravenna, II/2, Venezia.